LA BEATITUDINE DEI PURI DI CUORE

Approfondimento alla Catechesi: “Essere casti è possibile?! Si, ed è anche necessario!” 

di Padre Raimondo Marchioro
(Francescano conventuale)

La beatitudine dei puri di cuore.
Dopo aver considerato chi sono i puri di cuore del Vangelo (leggi qui), la purezza nei vari stati di vita cristiana (leggi qui) e i mezzi per conservarla (leggi qui), dobbiamo ora esaminare la beatitudine promessa da Gesù Cristo:
“ Beati i puri di cuore…” (Mt. 5, 8).

1) La beatitudine
Innanzi tutto si deve capire bene il senso esatto della parola “beatitudine”
E opportuno, pertanto, conoscere il significato di alcuni termini: gioia, piacere, felicità, che hanno un rapporto stretto con la suddetta locuzione.
La gioia è lo stato piacevole dell’uomo, anima e corpo, causato da un qualche cosa che è secondo la sua natura. Questo qualche cosa può essere passato, presente o futuro; esso causa tale stato piacevole, perché serve a completare, a perfezionare il nostro essere limitato, che per natura sua tende alla perfezione.
La gioia si dice soprattutto dello spirito, ma si riferisce anche a tutto l’uomo, anima e corpo.
Dalla gioia si distingue il piacere, che è una soddisfazione dei sensi e riguarda più il corpo che lo spirito, senza escluderlo, evidentemente.
La felicità è lo stato piacevole di colui che è in possesso di tutto ciò che conviene al suo essere, secondo la sua capacità recettiva.
E chiaro che la felicità, in senso stretto, non sarà mai raggiunta in questa terra, ma solo in cielo.
Dire felicità o beatitudine è la stessa cosa, con la sola differenza che il primo termine viene usato, ordinariamente, in senso largo, per la vita terrena, il secondo invece per quella celeste.
La beatitudine, pertanto, è quello stato di felicità che godono i Santi in paradiso e che consiste nella visione immediata, intuitiva e facciale di Dio e nel suo godimento. Uno degli elementi che causerà questa felicità è, senza dubbio, la certezza che tale stato durerà senza interruzione e per tutta l’eternità.
Gesù quando dice: “Beati i puri di cuore…” (Mt. 5, 8), usa il termine beatitudine, non in senso stretto, per ché siamo ancora sulla terra, ma per analogia, per partecipazione a quella del cielo.
Nella parola beatitudine è compresa anche quella pace, serenità e tranquillità dello spirito, che riguarda tutta la persona dell’uomo, e vengono esclusi tutti i turbamenti di un’anima, che vive in peccato mortale, agitata dal rimorso di essere nemica di Dio.
La beatitudine è anche quella sicurezza interiore dell’anima in Dio, come quella del bambino nei riguardi della madre: quando il bambino è con la madre non ha paura di nulla.

2) La causa efficiente della beatitudine dei puri di cuore
Ciò che causa la beatitudine nei puri di cuore è l’amicizia dell’uomo con Dio, della creatura con il suo Creatore. Tale stretto legame è cementato dalla grazia santificante o abituale, che è la vita di Dio trapiantata nel nostro spirito: è l’inabitazione della SS. Trinità nell’anima.
Per conquistare la perla preziosa della grazia si richiede, oltre alla fede e al battesimo, l’osservanza esatta dei dieci comandamenti e, in particolare, l’esercizio della virtù della purezza, codificato da Dio nel sesto e nel nono comandamento.
Ogni osservanza della legge di Dio produce l’effetto della grazia, ma la purezza (e la santità completa dell’anima), è stata elevata alla dignità di beatitudine, proclamata da N.S. Gesù Cristo. Egli ha una predilezione speciale per tale virtù.
“ Beati i puri di cuore…” (Mt. 5, 8).
“ Quanto è buono Dio con i giusti,
con gli uomini dal cuore puro” (SaI. 72, 8).
“ Chi salirà il monte del Signore, Chi starà nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro” (Sai. 23, 3-4)
“ Il mio diletto si pasce fra i gigli” (Ct. 6, 3).
“ Questi non si sono contaminati con donne, sono infatti vergini e seguono
l’Agnello dovunque va” (Ap. 14, 4).
Gesù ci dice che la beatitudine dei puri di cuore consiste nel vedere Dio:
“ Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”(Mt. 5, 8).
Certamente, perché chi riesce a vedere Dio, è pieno di Dio con la sua grazia, è posseduto da Dio e chi ha Dio, ha tutto, non gli manca nulla: ha la beatitudine.
Qui viene spontanea una domanda: i puri di cuore vedranno dio in cielo, dopo la morte, o anche sulla terra?
Sicuramente in cielo, i puri di cuore vedranno Dio faccia a faccia, come anche tutti quelli che si salveranno, secondo l’insegnamento di 5. Giovanni: “Saremo simili a lui poiché noi lo vedremo come Egli è” (lGv. 3,2); e di S. Paolo: “Noi ora vediamo come per mezzo di uno specchio, in immagine; allora invece vedremo faccia a faccia” (ICor. 13, 12) e Cfr. anche C.C.C. 2519.
Possiamo rispondere che i puri di cuore vedranno Dio anche in questa terra, secondo la capacità della natura umana per mezzo di una fede grande, limpida e semplice, attraverso il cristallo dei sensi. Si potrà vede re Dio nella fede, e, con gli occhi del corpo e dell’intelligenza, nelle opere del creato.

3) Riflessioni sulla beatitudine dei puri di cuore
S. Giovanni nel discorso di Gesù con Nicodemo chiama il Figlio di Dio con la parola “luce” e poi aggiunge: “Chi opera la verità viene alla luce” (Gv. 3, 21). In altre parole: Chi agisce lealmente, con retta intenzione, con purezza e santità di vita viene alla luce, non rimane nelle tenebre, vede la luce, che è Dio.
Qui non si tratta tanto di vedere solo la luce natura le, che vedono anche i malvagi, quanto piuttosto della luce spirituale, che è un insieme di naturale e soprannaturale, che influisce negli occhi del corpo, dell’intelligenza e della fede e ci dà così la possibilità di vedere la vera luce, Dio.
Abbiamo detto che in questa terra vediamo Dio, attraverso il cristallo dei sensi e, se questo è terso, limpido e trasparente, con l’aiuto della fede potremo vedere Dio come Egli è, Uno e Trino. Se invece tale cristallo è annebbiato, appannato, offuscato o, peggio macchiato o spezzato non potremo vedere nulla.
Quello che rende inservibile il cristallo dei sensi per vedere Dio in questa terra è il peccato, specialmente il peccato dell’impurità. Tale colpa, infatti, è quella che più di ogni altra lascia un segno nello spirito e col pisce più le anime che, ordinariamente, si conservano pure che non coloro che sono inveterati nel vizio. Più forte e marcato, infatti, è il rimorso negli uni che non negli altri; senza considerare quelli che, ormai, hanno fatto tacere la voce della coscienza, o quasi, perché è impossibile spegnere del tutto la voce della coscienza, per l’abitudine radicata dell’impurità.
I peccati impuri, infatti, sono quelli che più si ricordano, anche nei particolari, perché più degli altri lasciano nella persona un’impronta speciale intaccando, direttamente, la natura dell’uomo, la natura della sua vita fisica.
Se l’impurità è quel peccato che, più di ogni altro, lascia un segno più marcato nel rimorso atroce che porta nella coscienza, al contrario, la virtù opposta, la purezza produce nell’anima un segno più accentuato, quasi un anticipo della beatitudine del cielo che il giusto avrà nella visione di Dio, promessa nella vita eterna, ma già iniziata, nella fede, in questo mondo.
Non è la purezza che ci fa vedere e gustare Dio in questo mondo, ma la fede; la purezza è il mezzo per rendere più limpidi gli occhi della fede, per avvicinarci alla visione di Dio e al Suo godimento.
Perché la purezza sia completa, tale da meritare la beatitudine promessa da Gesù, è necessario che l’anima sia veramente pura e santa, cioè immune da qualsiasi peccato, che abbia sempre la rettitudine di intenzione e il distacco dai beni di questo mondo: dal nostro spirito, dall’intelligenza e dalla volontà; dal nostro corpo e dai beni che sono al di fuori di noi: dalle ricchezze e dalle comodità della vita; che impari ad usare tutti questi beni come mezzi e non come fine, che è e deve essere, sempre e solo, Gesù, Dio.
Una pallida idea della beatitudine dei puri di cuore è offerta dall’amore di due persone, che veramente si amano, di due innamorati. Di essi si dice che sono felici.
La purezza evangelica, infatti, perché sia tale, si richiede che sia conservata per amore di Gesù Cristo, per la conquista del Regno dei Cieli, di Dio.
Esiste, però, una differenza tra due creature innamorate e l’anima pura innamorata di Dio. Nei primi rimane il dubbio atroce che la creatura possa cedere al tradimento, nella seconda si ha la certezza assoluta che Dio non tradirà mai, c’è solo la possibilità che sia tra dito Dio da parte dell’uomo.
Nel Regno dei cieli, invece, sarà esclusa del tutto la possibilità di un qualsiasi tradimento: e sarà quindi beatitudine piena.
La beatitudine dei puri di cuore consiste anche nella certezza di contemplare con gli occhi della fede Dio, Uno e Trino, senza avere di Lui il timore di ricevere un rimprovero, ma uno sguardo di profonda simpatia e di immenso amore. Noi, estasiati in Lui, nel vedere di essere oggetto dell’amore del Padre dell’Universo, di essere i suoi prediletti, di essere da Lui posseduti, di essere trasformati in Lui, ci addormenteremo nel suo amore e guarderemo alla morte come alla grande liberatrice. L’anima completamente pura e santa, sciolta da qualsiasi vincolo terreno, vola liberamente verso il sole della SS. Trinità, perché quello è il suo tesoro (cfr. Mt. 6,21), quello è il suo tutto, come ripeteva spesso 5. Francesco d’Assisi: “Mio Dio e mio Tutto”

La purezza, virtù ancella della carità
Talvolta si sente dire che la Chiesa Cattolica ha dato preminenza alla purezza, specialmente in passato, a confronto della carità, che è la regina di tutte le virtù. Tale affermazione indica una mancanza di chiarezza sia del concetto di carità cristiana sia di quello della purezza. Se la Chiesa ha sempre insistito molto sulla purezza, l’ha fatto proprio in funzione della carità.
Compresa bene la vera natura della carità cristiana e della purezza comprenderemo anche l’infondatezza della suddetta affermazione critica.
La purezza, infatti, è quella virtù che ci insegna a distaccarci da noi stessi e, in tale maniera, dispone il nostro animo alla carità cristiana.
Non può esistere nel fedele vera carità cristiana e cioè vero amore verso Dio per Se stesso e amore del prossimo per amore di Dio, se prima egli non ha imparato a distaccarsi da se stesso, dal proprio io, dal proprio corpo e dalle ricchezze che sono fuori di lui. (Cfr. Conc. Vat. 11, “Perfectae caritatis”, 12).
Cerchiamo, pertanto, di comprendere bene la vera natura della carità cristiana. Essa è la terza delle virtù teologali, dopo la fede e la speranza e tutte e tre hanno come oggetto Dio: nella fede, Dio da conoscersi per mezzo della rivelazione operata da N.S. Gesù Cristo; nella speranza, Dio da possedersi, dopo la morte, nella vita eterna, in Paradiso; nella carità, Dio, conosciuto con la fede, da amarsi sopra ogni cosa, con tutta la mente, con tutto il cuore e con tutte le forze in questo mondo, e, soprattutto, nell’altro, per l’eternità, in Paradiso.
Quale meta altissima è la virtù della carità e quanto è difficile da raggiungersi! Potremmo dire che la carità è l’unica vera virtù e che le altre sono manifestazioni di essa.
Le altre virtù, infatti, non sono tali se non sono informate dalla carità, che ne è la regina; esse sono come le ancelle, ma ancelle senza le quali la carità stessa non può sussistere.
Ecco infatti quanto insegna S. Paolo in proposito.
“ Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la sicurezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.
La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiusti zia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1Cor. 13,1-7).
Dalla descrizione di 5. Paolo, quindi, scaturiscono due insegnamenti: primo, la carità è la regina di tutte le virtù ed essa tutte le informa; secondo, le altre virtù sono elementi indispensabili per la sussistenza della carità stessa.
La pazienza, l’umiltà, la purezza, ecc. sono varie manifestazioni della carità; non può esistere vera carità senza la pazienza, l’umiltà, la purezza, e tutte le altre virtù; e non possono esistere la vera pazienza, l’umiltà, la purezza e le altre virtù senza la carità, cioè prescindendo dall’amore di Dio.
Dobbiamo dunque concludere che la purezza (come ogni altra virtù) è una virtù necessaria per possedere la vera carità cristiana.
Da quanto sopra esposto, appare chiaro che non si può identificare la carità con l’elemosina, che è gesto profondamente cristiano, ma non è virtù, e neppure confonderla con la filantropia, il solidarismo, la beneficenza, l’altruismo, l’umanitarismo che, per lo più, si fondano su di un lodevole senso di amore verso il prossimo, ma, disgiunta dall’amore di Dio, non posso no identificarsi con la carità cristiana.
Essa è amore, volontà di bene, ma quale amore?
Non qualsiasi amore, ma quello soprannaturale per Iddio: ma non per qualsiasi Dio (conosciuto solo con la ragione o creato con la fantasia), ma Dio, conosciuto per mezzo della rivelazione, della fede, tramite l’annunzio di Gesù Cristo, Figlio di Dio e Dio lui stesso insieme con il padre e lo Spirito Santo.
Questo amore — insieme con la fede e la speranza — ci è stato infuso nell’anima nel santo battesimo (cfr. Rm. 5, 5).
L’oggetto della carità cristiana è duplice: primo, Dio, conosciuto per mezzo della fede, e questo deve essere amato per Se stesso; secondo, noi stessi e il prossimo, che devono essere amati non per se stessi, ma per amore di Dio.
Due comandamenti che si possono riassumere in uno solo: amore di Dio. Perché l’amore verso noi stessi e il prossimo non sono altro che l’espressione e la prova del nostro amore per Dio, secondo l’insegna mento di Gesù: “Se mi amate, osservate i miei comandamenti” (Gv. 14, 15) e “In questo consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti” (lGv. 5, 3 e cfr. anche Conc. Vat. Il, “Lumen Gentium”, 42).
Da qui risulta che il vero amore di Dio (la carità cristiana) non si può esaurire in sole espressioni di affetto per Iddio, anche sincere, in preghiere, anche ardenti, ma trova il suo compimento nelle opere, che sono la manifestazione concreta dei nostri sentimenti per Dio, secondo l’insegnamento di Gesù: “Non chiunque mi dirà: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio, che è in cielo, questi entrerà nel Regno dei Cieli” (Mt. 7, 21).
Il Signore ci insegna anche con quale intensità dobbiamo amarlo: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la mente. Questo è il massimo e primo comandamento” (Mt. 22, 37-38).
In altre parole, tutta la nostra vita presente deve essere un olocausto a Dio.
Dobbiamo convincerci che Dio è molto esigente e geloso — anche se buono, misericordioso e comprensivo — e ci vuole tutti per Sé. Egli infatti ci dice: “Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro; non potete servire a Dio e al denaro” (Mt. 6, 24).
La vera carità cristiana dunque consiste nell’amore di Dio per Se stesso con tutte le nostre forze, e quando si dice tutte, si intende, che neppure una sola delle nostre facoltà deve essere impiegata per un fine di verso.
L’espressione di Gesù si può tradurre anche:
“ Amare Dio sopra ogni cosa” e ciò significa ritenere Dio il bene più grande di tutti i beni che esistono sulla terra; ne consegue che tutti gli altri beni di questo mondo si devono stimare come inferiori, e, fra questi, anche il bene di se stesso, del proprio io e del proprio corpo.
L’amore per Iddio pertanto deve essere sommo.
Bisogna fare attenzione a non confondere l’amore soprannaturale per Iddio, che risiede unicamente nel l’intelletto e nella volontà e nella stima supera qualsiasi altro amore, con quello per le persone care, che si distingue per la forza dell’affetto e che, per l’intensità, non è superato da nessun altro e che per lo più risiede nei sensi.
Si può pertanto conciliare l’amore soprannaturale sommo per Iddio e l’amore sensibile, non superato da nessun altro, per una persona cara.
Come si vede, altissima è la meta della vera carità cristiana.
Ecco quanto dice S. Bonaventura su questo argo mento.
“ La carità ha tanta forza che essa sola serra l’inferno, apre il paradiso, sola dà la speranza della salute, sola rende grati a Dio. E di tanto valore che essa tra le altre è detta la virtù per antonomasia: chi l’ha è ricco, dovizioso e beato; chi non l’ha è povero, accattone ed infelice”.
Se dunque la carità ha tanto valore, bisogna prendersi cura di possederla a preferenza di tutte le altre virtù; e non una carità qualunque, ma quella sola per la quale si ama Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di Dio.
In qual modo poi, tu debba amare il tuo Creatore, il medesimo tuo Sposo te lo dice nel Vangelo: ‘Amerai il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua e con tutta la tua mente’.
Intendi bene, quale amore voglia da te il tuo diletto Gesù Egli vuole che all’amor suo tu dia tutto il tuo cuore, tutta la tua anima e tutta la mente tua, in modo che in tutto il tuo cuore, in tutta l’anima tua e in tutta la tua mente nessun altro possegga con lui nemmeno una piccola parte.
Certamente allora ami Dio con tutta l’anima, quando fai volentieri e senza nessuna opposizione non ciò che tu vuoi, non ciò che consiglia il mondo, non ciò che suggeriscono i sensi, ma ciò che sai tu che Dio vuole. Certissimamente poi, allora ami Dio con tutta l’anima, quando per amor suo ti esponi anche alla morte, se occorre.
Ma se, al contrario, sarai stato negligente in qual cuna di queste cose, allora no, non ami con tutta l’ani ma. Via dunque, ama il Signore Dio con tutta l’anima, vale a dire, conforma in ogni cosa la volontà tua alla volontà divina” (Dagli “Opuscoli mistici” di San Bonaventura Vescovo — “De perfectione vitae ad sorores” ed. Vita e Pensiero, Milano 1926, pp. 307; 349-351).
La meta della carità cristiana è difficile a raggiungersi; per poterla conquistare si richiede che l’animo sia distaccato da tutti i beni di questo mondo e che sia aiutato dall’esercizio di tutte le virtù e specialmente della purezza, che, più di ogni altra, dispone il fedele cristiano al vero amore per Iddio.
Di qui appare chiaro che la purezza (e tutte le altre virtù) è ancella della carità e grande è il sostegno che le assicura.
La purezza è una virtù indispensabile per la carità fino al punto che non vi può esser carità senza purezza.
Il peccato dell’impurità, infatti, distrugge il tessuto osseo del fedele cristiano; gli sconvolge, come un terremoto, la mente e il cuore, e lo rende incapace di amare Dio per se stesso sopra ogni cosa.
Dopo tali considerazioni, dunque, si deve ritenere infondata la critica alla Chiesa, ricordata all’inizio del capitolo.
0ra è facile comprendere perché la chiesa, maestra saggia, lungo il corso dei secoli, ha sempre inculcato con insistenza ai suoi fedeli l’esercizio della purezza, che è facile perdere per la fragilità e debolezza umana; perdendo la purezza si perde anche la carità, che è la virtù regina, che ci fa entrare nel Regno dei Cieli. (Cfr. C.C.C. nn. 1822 – 1829).
Conclusione
Nella considerazione della bella virtù della purezza, siamo riusciti a capire chi sono i veri puri di cuore, proclamati dalla beatitudine di Gesù, attraverso l’esame del sesto e nono comandamento e degli altri insegnamenti evangelici.
Consapevoli delle difficoltà che si trovano nell’esercizio ditale virtù, abbiamo individuato con semplicità e chiarezza i mezzi naturali e soprannaturali per conservarla.
I fedeli del popolo di Dio, ai nostri giorni, non chiedono ai loro pastori e maestri parole o paroloni, ma desiderano di avere nella dottrina della fede certezze e idee chiare e precise.
Nel presente lavoretto mi sembra di aver soddisfatto tale esigenza.
Voglia il cielo che, attraverso queste pagine, lo Spirito Santo per intercessione di Maria Santissima ci abbia reso chiara l’importanza della virtù della purezza, al fine del dinamismo e dell’arricchimento della nostra vita spirituale.
Se fossimo riusciti a tanto, avremmo trovato un mezzo sicuramente efficace per introdurci sulla strada maestra della carità cristiana, che ci largisce la robustezza per entrare attraverso “la porta stretta” e poter raggiungere così la beatitudine eterna della salvezza, promessa da N.S. Gesù Cristo, morto e risorto.